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Rachel Gould (voce), Marco Tamburini (tromba e flicorno),
Marcello Tonolo (pianoforte), Paolo Ghetti (contrabbasso), Mauro Beggio (batteria)
Nell’ossessiva ricerca di nuove regine del canto jazz, meglio se giovani e carine, l’industria
discografica non s’accorge spesso dell’esistenza di cantanti mature e dotate, magari poco note,
ma che meriterebbero un’attenzione ben superiore a quella che normalmente viene loro
riservata. E’ questo il caso di Rachel Gould, nata nel 1953 a Camden, New Jersey, da anni fra
le più lucide e sensibili voci del jazz moderno, nota soprattutto per le sue collaborazioni con
Chet Baker e Sal Nistico. Musicista di formazione classica, studia canto e violoncello a Boston,
la Gould comincia a cantare professionalmente a metà degli anni ‘70, prima negli Stati Uniti, poi
in Europa, dove decide di fermarsi, stabilendosi prima in Germania e quindi, dopo la morte di
Nistico, dal 1992 in Olanda, dove vive ancor oggi. Il primo disco da leader, dopo una lunga
gavetta effettuata a fianco di musicisti come Philip Catherine, Benny Bailey e Horace Parlan,
viene registrato a metà degli anni ‘80 («The Dancer»). Più importante è il successivo «A Sip Of
Your Touch», del 1989, con Riccardo del Frà , Enrico Pieranunzi, Art Farmer e Dave Liebman,
cui seguono «Live in Montreux» (1991) e «More Of Me» (1993). L’idea di registrare con una
formazione tutta italiana matura durante i molti tour e seminari che Rachel tiene periodicamente
nel nostro paese. Fra le diverse sezioni ritmiche che frequenta, questa guidata dal pianista
Marcello Tonolo sembra rispondere più di ogni altra alle sue esigenze espressive. Al trio, in cui
spicca fra l’altro il sensibile “drumming†di Mauro Beggio, non basterà altro che aggiungere la
tromba di Marco Tamburini, ed il gioco è presto fatto. Il quintetto incide un disco, «Dancin’ on a
dime» (Caligola 2029), che la nostra etichetta pubblica nel 1999, ed a distanza di tre anni
registra ancora (con l’unica variante costituita dall’ingresso del contrabbassista Paolo Ghetti al
posto di Franco Testa) ma l’album, molto atteso, sarà pubblicato solo nel 2005 con il titolo di
«No more fire». Quattro standard (fra cui un’avvincente Cold duck time, una delicata It never
entered my e l’ellingtoniana Perdido, affrontata in duo con la batteria) e sei brani originali (fra
cui la ripresa del bellissimo Empty room, composto insieme a Nistico) ci rivelano, se mai ce ne
fosse bisogno, una vocalist straordinaria, degna erede della migliore tradizione del canto jazz
(Shirley Horn e Carmen McRae su tutte), ma soprattutto musicista completa, capace di
controllare in ogni momento la materia musicale affrontata.