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Questo disco completa un trittico iniziato esattamente dieci anni or sono, con «Dialogo a
due» pubblicato da Modern Times, comprendente gustose rivisitazioni in duo di standard, e
proseguito nel 2001 con «Italian songs», inciso per Wide Sound, dedicato alla canzone
popolare italiana, delle più varie epoche. In questo stesso filone s’inserisce l’appena pubblicato
– ma la registrazione “live†risale a qualche anno fa – «Ancora…e altre canzoni», in cui
vengono rilette, con maggiore sapienza e rinnovata creatività , canzoni italiane di diversi periodi,
che nella nostra cultura musicale assumono il ruolo di veri e propri standard. Il passato più
recente, ben rappresentato dalle celebri melodie di Donne (Zucchero Fornaciari) e di E penso a
te (Lucio Battisti), si sposa alla perfezione con quello prossimo di Che sarà o di Ancora – la
bella canzone di Claudio Mattone portata al successo da Mina, che dà il titolo al disco – e con
quello remoto di ‘O sole mio, icona della canzone napoletana, Addio amore, di Giovanni
D’Anzi, o Motivo italiano, meno nota ma altrettanto efficace. In mezzo s’inseriscono alla
perfezione sia Legata ad un granello di sabbia, di Nico Fidenco, sia Come Prima. Il disco, se
non aggiunge molto a quanto già si conosceva dello straordinario talento di Fabrizio Bosso,
rende giustizia a Paolo Di Sabatino, vero artefice di questo duo, che ha curato gli arrangiamenti
di tutti i brani qui proposti. Il pianista abruzzese esce ancora una volta a testa alta
dall’incontro/confronto con il trombettista torinese. Questo significa, in estrema sintesi, che il
disco, godibile e riuscito, si fa ascoltare tutto d’un fiato, dall’inizio alla fine, senza che venga
mai avvertito il benché minimo segno di stanchezza. Aiutati da un “interplay†a tratti magico, i
due jazzisti distendono con efficacia lunghe linee melodiche, improvvisano con senso della
costruzione e della misura, si passano il testimone con estrema scioltezza, dimostrando tutta la
loro classe strumentale (davvero stupefacente il virtuosismo di Bosso) ma anche la loro
attitudine al dialogo, in questo caso quanto mai proficuo. E’ un jazz godibile in definitiva il loro,
che non ama prendere rischi, talvolta forse troppo auto–referenziale, ma che arriva diritto allo
scopo che si era prefisso: intrattenere in modo intelligente e raffinato l’ascoltatore, incuriosire
anche i non strettamente appassionati dimostrando – se ancora ce ne fosse bisogno – che la
concezione di standard è notevolmente mutata in questi ultimi anni, ma soprattutto che la
migliore canzone italiana è ricca di spunti melodici ed armonici che non hanno niente da
invidiare a molti dei più frequentati brani del repertorio americano. Basta solo un po’ di coraggio
e fantasia. Gli ascoltatori sapranno apprezzarlo.