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Paolo Botti (viola, banjo, dobro, mandolin)
1) Island harvest; 2) Moanin’; 3) Our prayer; 4) Ghosts;
5) Albert Ayler (his life was too short); 6) Zion Hill; 7) Birth of mirth;
8) Flowers for Albert; 9) New generation; 10) Truth is marching in;
11) Angela; 12) Nobody knows the trouble I’ve seen;
13) Corale per A.A.
“Il disco è bellissimo, lo dico col massimo dell’entusiasmo. Il modo in cui
hai saputo catturare il carattere folk ed al tempo stesso moderno di
Albert Ayler non credo abbia veri precedentiâ€. Queste le parole, scritte a
caldo dal critico Stefano Zenni, dopo aver ascoltato il nastro inviatogli
da Paolo Botti, prima che ancora diventasse un disco. Parole sincere e
dal significato profondo, che abbiamo chiesto ed ottenuto di poter
inserire nel booklet dell’album al posto della solita, magari lunga
presentazione. Ne siamo davvero orgogliosi. «Angels & ghosts» é il
quinto lavoro di Botti pubblicato da Caligola. La collaborazione è iniziata
esattamente dieci anni fa con lo splendido quintetto di «Leggende
metropolitane», ed aveva prodotto nel 2008, prima di questo disco,
l’emozionante«Looking back», registrato dal vivo in quartetto con Dimitri
Grechi Espinoza, dove Paolo Botti, classe 1969, aveva cominciato ad
affiancare al suo sin lì unico strumento, la viola, sia il banjo che il
dobro, due strumenti che sembrano esserne agli antipodi. Soluzione
che aumenta notevolmente gli umori blues della sua musica, diventata
un po’ meno complessa forse, ma più avvincente e sanguigna.
Strumenti che addirittura aumentano, con l’aggiunta del mandolino, in
questa coraggiosa e sorprendente prova solitaria, omaggio come pochi
altri originale e sentito al sassofonista Albert Ayler, figura un po’
dimenticata della musica afroamericana, eppure protagonista, insieme a
Coleman, Coltrane e Taylor, della rivoluzione del free–jazz. Son passati
quarant’anni dalla sua morte prematura quanto misteriosa, ma pochi sin
qui lo hanno ricordato. “Gli angeli ed i fantasmi†del titolo sono quelli
evocati dalla musica dello scomparso sassofonista di colore, anche se
la rilettura offertaci da Botti stempera un poco l’esasperato
espressionismo ayleriano, sempre ricco di contrasti, sospeso fra temi
semplici e lirici, qualche volta ipnotici, ed esplosioni sonore quasi
cacofoniche, tra urla strozzate e canto disteso, tra fanfare bandistiche e
dolci ninne nanne. Riuscite sia la scelta che la successione dei brani,
quasi tutti di Albert Ayler. Le uniche eccezioni sono Moanin’, di Bobby
Timmons, il celebre spiritual Nobody knows the trouble I’ve seen, e tre
splendidi tributi ad Ayler: uno di David Murray, forse il più celebre, un
altro del violinista Leroy Jenkins ed un terzo dello stesso Botti, Corale
per A.A., unico brano di sua composizione di tutto disco.