Nicola Cristante (classic & electric guitars, vocals on 2/6),
Peace Diouf (electric bass), Moulaye Niang (drums, percussion).
Special guests: Mor Thioune (talking drums, percussion) on tracks 1/3/6/7/8,
Milky Malick (vocals) on tracks 1/3/4/5/6.
1) Happy Inside; 2) Bulawayo; 3) Massani Cisse (traditional);
4) Suhail; 5) Leer; 6) Tarancarola; 7) Impro 2; 8) Impro 1.
Recorded on February 27 and March 3, 2017, mixed on May 16, 2017,
at Artesuono Recording Studios, Cavalicco (Udine), by Stefano Amerio.
A due anni da «Koan», pubblicato da Dodicilune, ma
soprattutto a 14 da «Quintessenze» (Caligola 2079),
disco che aveva condiviso con il sassofonista Nagual,
Nicola Cristante torna a far parlare di sé con un nuovo
album da leader, lasciando momentaneamente da parte il
jazz per dar voce a quell’Afrotoutes Projects che da
tempo lo vede collaborare assiduamente con il batterista
–percussionista senegalese Moulaye Niang. Una ricerca
parallela, la loro, che unisce le tradizioni musicali africane
alle musiche delle Americhe, e che il cantante Milky
Malick, attivo soprattutto nell’ambito del reggae,
contribuisce a rendere ancor più originale. Sono tutti
senegalesi i musicisti coinvolti dal chitarrista veneziano in
questa nuova avventura, e l’Africa impregna di sé ogni
traccia dell’album, illuminando di suggestivi riflessi
colorati la chitarra lucida ed essenziale di Cristante, che
tradisce le sue influenze blues e funk. Il disco si apre con
il riff ritmato e solare di Happy Inside, ma trova forse nel
brano che gli dà il titolo, Leer, la sintesi più efficace fra
diverse culture cui aspira il leader, messa in evidenza
anche dal canto di Milky Malick, libero da testi, che usa
quindi la voce strumentalmente, offrendo un’interessante
rilettura dello scat in chiave squisitamente africana. Negli
stessi brani si rendono protagonisti di riusciti assoli sia la
chitarra di Cristante che il pulsante basso elettrico di
Peace Diouf. Se Bulawayo si distingue per la complessa
varietà delle sue strutture ritmico–armoniche, Tarancarola
scivola via come i titoli di coda di un film, grazie ad una
melodia cantabile di sapore quasi methenyano, prima di
crescere con l’incalzante e concitato sei ottavi che unisce
mirabilmente due stili della tradizione popolare italiana
come la Taranta e la Barcarola. La registrazione è stata
effettuata nello studio di Stefano Amerio in presa diretta,
senza nessun intervento in post produzione, nel tentativo
di riprodurre fedelmente quello spirito “live” così caro al
gruppo che nei due brani finali, molto liberi e totalmente
improvvisati, dimostra notevole coesione ed affiatamento.