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Nicola Bottos (pianoforte, Fender Rhodes), Andrea Lombardini (basso elettrico),
Luca Colussi (batteria). Ospite: Marco Tamburini (tromba, flicorno)
Capita talvolta di rimanere fortemente colpiti da un debutto. E’ il caso di questo primo album da
leader di Nicola Bottos, classe 1974, che ha completato la sua formazione jazzistica al
Conservatorio di Trieste sotto la guida di Glauco Venier, e sta ora imponendosi come uno dei
più inventivi ed originali pianisti dell’ultima generazione. Se a dirigere la musica contribuisce poi
un bassista del talento e dell’esperienza di Andrea Lombardini, il gioco è fatto. C’è in verità un
precedente, ma si tratta di un gruppo paritetico, il quintetto Namòs, che nel 2004 ha inciso un
disco, «Sestante», per la Artesuono di Stefano Amerio (ospite Pietro Tonolo). Del trio The
Bendy Legs, il pianista friulano – nato per la precisione a San Vito al Tagliamento (Pordenone)
– è invece indiscusso e principale responsabile. Non è un caso che ben sette dei nove brani
dell’album siano di sua composizione (uniche eccezioni: Nardis di Miles Davis intrisa di funky e
piacevolmente personale, ma anche Zenone, firmata da Lombardini). Formatosi nel 2004, il trio
si posto subito l’obiettivo di affrontare un repertorio formato principalmente da brani originali.
Altra sua caratteristica peculiare è costante, quasi ossessiva ricerca di un “suono†personale e
di un equilibrio in grado di metter in risalto le caratteristiche di ciascuno dei suoi tre componenti,
senza che per questo venga meno il risultato complessivo. A definire tale identità contribuisce
la contrapposizione fra il suono acustico, già comunque “sporcato†dal basso elettrico di
Lombardini, ed una sonorità decisamente più moderna, raggiunta con l’utilizzo del piano
elettrico Fender Rhodes e di alcuni effetti applicati agli strumenti. Oltre a maestri come Steve
Swallow e Kenny Wheeler, Bottos sembra ispirarsi alla scena newyorkese contemporanea, a
musicisti come Seamus Blake, Chris Speed, o Bill Carrothers. Prezioso è il fine lavoro di
cucitura svolto dal giovane batterista Luca Colussi, anche lui friulano, né può passare sotto
silenzio la presenza, in cinque dei nove brani, di un ospite del calibro di Marco Tamburini,
particolarmente a suo agio, oltre che in Nardis naturalmente, nel lirico e sognante La maga di
Oz, non distante dai climi cari a Herbie Hancock, così come nel davisiano Tristano & Isotta e
nel già citato brano di Lombardini, dolcemente sospeso fra sogno e nostalgia. Più vicino alle
sonorità dei nostri giorni è invece l’incalzante riff di Bendy legs, così come straordinaria è la
forza evocatrice di La notte di San Vito, ballad assorta ed asciutta, mai melensa. In entrambi i
pezzi il trio sa mettere in mostra le sue migliori qualità , che non sono poche né trascurabili. Ad
majora!