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Michele Polga (tenor sax, electronics), Paolo Birro (piano),
Stefano Senni (double bass), Walter Paoli (drums)
1) Noise of the universe; 2) Clouds over me; 3) Have a look; 4) Corner;
5) Walls in life; 6) Don’t call; 7) Francesco; 8) Noise of the universe 2
Non ha avuto fretta Michele Polga di dare un seguito all’eccellente«Movin’
house» (Caligola 2058), suo album del debutto da leader, che tanti
apprezzamenti aveva ottenuto. Cinque anni non son pochi, ma tanta
attesa è stata alla fine ripagata da un lavoro che segna un deciso passo
avanti rispetto al precedente, rappresentando senza dubbio la raggiunta
maturità artistica di un sassofonista che ha sempre lavorato con continuitÃ
e passione, pensando più alla musica che alla promozione della propria
immagine, come testimonia anche l’oscuro ma prezioso lavoro in
orchestra, specie con la Thelonious Monk Big Band. «Clouds over
me» non ci regala soltanto un Polga cresciuto, più maturo e personale, del
tutto padrone dei propri notevoli mezzi espressivi, ma anche un magnifico
ed equilibrato quartetto, non una semplice seppur ottima sezione ritmica al
servizio di un leader, ma un “vero e proprio gruppoâ€, come si dice in questi
casi. Dei vecchi compagni d’avventure è rimasto soltanto Walter Paoli, con
il suo pulsante e fantasioso drumming, a sostenere i voli del
tenorsassofonista vicentino. Al suo fianco ci sono oggi il solido e pulsante
contrabbasso di Stefano Senni ed il pianoforte lirico dell’amico Paolo Birro,
che a Michele assomiglia per discrezione, mai invadente, prezioso quando
accompagna, illuminante in ogni sua escursione solistica. Risulta originale
l’idea di aprire e chiudere il disco con due versioni di Noise of the universe,
brano dalla melodia semplice ma basato su un riff ossessivo ed
accattivante, che ha il pregio di rimanerti a lungo in testa. Ed è forse per
queste sue qualità che Polga ha voluto offrircene una seconda take,
condita da loop e da qualche raffinato effetto elettronico, quasi
divertendosi a giocare al Dj, senza per questo disperderne la suadente
poesia. Tutte le sette composizioni originali presenti nell’album hanno una
loro precisa ragione d’essere ed un profondo significato. Nessuna appare
messa lì per caso, come semplice riempitivo. Da ricordare almeno il brano
che dà il titolo al disco, pervaso da un sognante lirismo coltraniano, ma
anche le raffinate melodie shorteriane di Have a look e Don’t call, tema
anche questo di grande efficacia. Polga si fa addirittura da parte,
consentendo a Birro ed al trio di giganteggiare in Francesco, ballad
nostalgica e riflessiva, dai tenui colori evansiani.