
Marco Tamburini (tromba, flicorno), Marcello Tonolo (pianoforte),
Cameron Brown (contrabbasso), Billy Hart (batteria).
Ospiti: Stefano Bedetti e Michele Polga (sax tenore), Alessia Obino (voce)
Disco della piena maturità questo, dopo il pur eccellente «Two days in New York» (Caligola
2048), del trombettista Marco Tamburini. Dopo quattro tour e tre anni di attività continuativa alle
spalle il quartetto è diventato ormai un vero gruppo, omogeneo e affiatato quanto basta per far
decollare la musica. Misurato ma come sempre efficace l’accompagnamento del pianoforte di
Marcello Tonolo, che si conferma anche ispirato compositore, regalando al gruppo una
splendida e sognante Dreams, e superlativo il lavoro della prestigiosa coppia ritmica
americana, formata dal solido contrabbassista Cameron Brown e da quella fantasiosa
macchina da ritmo che risponde al nome di Billy Hart, leggenda vivente della batteria jazz
moderna. Si rivelano preziosi e riusciti anche gli interventi dei due giovani tenorsassofonisti
ospiti, Michele Polga e Stefano Bedetti, realtà emergenti del movimento jazzistico italiano. Nei
loro interventi (due brani ciascuno ed uno, la trascinante Seven comes eleven, standard
davvero poco eseguito, in cui i nostri “eroi†dettano con foga, memori delle celebri “battaglie†fra
sassofonisti della “swing eraâ€) una tecnica strumentale sopraffina viene arricchita da una giÃ
notevole personalità , che li rende già perfettamente riconoscibili. Nel disco quattro composizioni
originali si alternano ad altrettanti standard. Oltre al già citato brano di Goodman e Christian, vi
sono le originali, coinvolgenti versioni di Cheek to cheek, e When the Saints go marching in,
che giocano su sospensioni ritmiche davvero efficaci, e la più moderna Poinciana, standard
reso celebre da Ahmad Jamal. Se Warm è quasi un giochino melodico che sta fra Don Cherry e
Albert Ayler, ma riportato da Tamburini entro canoni rigorosamente boppistici, il bel brano che
dà il titolo all’album si distende in una lunga ed accattivante linea melodica, firmata da Roberto
Stefanelli (Frenico dal greco “phrenâ€, visceri e diaframma, dove secondo gli antichi risiedeva
l’anima irrazionale ed istintiva dell’uomo), mentre l’ultimo brano originale, che chiude l’album è
una deliziosa ballad di Brown, Lullaby for George Don and Denny, che consente al flicorno di
Tamburini di prendere un assolo intenso ed ispirato, mostrando come la sua maturazione
stilistica si sia ormai completata. Sempre più lontane e sfumate le influenze dei maestri
americani, il Nostro è ormai entrato di diritto nell’olimpo dei trombettisti europei d’oggi, e d’ora
in poi tutti dovranno tenerne conto.