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Luisa Longo (voce), Paolo Birro (pianoforte), Marc Abrams (contrabbasso)
Luisa Longo inizia la sua avventura nel mondo della musica studiando percussioni, e diventa
poi corista in un gruppo di salsa. Dopo aver partecipato ad uno “stage†di Umbria Jazz si
appassiona al jazz vocale e si perfeziona partecipando a molti seminari intensivi con cantanti
del calibro di Betty Carter, Sheila Jordan, Rachel Gould. Studia allo stesso tempo tecnica
vocale classica, prendendo parte, intorno a metà degli anni ’90, a diverse produzioni liriche e
sinfoniche. Collabora anche, come corista, alla “Messa Arcaica†di Franco Battiato. Ma la
Longo migliora soprattutto la sua confidenza con il jazz, esibendosi con diverse formazioni, dal
duo all’orchestra. Canta spesso come ospite nella Thelonious Monk Big Band diretta da
Marcello Tonolo, e con questa partecipa all’incisione dell’album «Goofy’s Dance» (Caligola
2032). Ha insegnato nella scuola di jazz vicentina Thelonious e da quattro anni è docente di
canto jazz presso la Thelonious Monk di Dolo. Nell’ultimo periodo Luisa Longo porta a
compimento un progetto coltivato da tempo, che la vede leader di un trio d’impianto
cameristico, completato dal contrabbassista americano Marc Abrams, suo compagno, e dal
veneto Paolo Birro, da qualche anno fra i migliori pianisti jazz italiani, votato nel 1995 come
miglior nuovo talento dai critici del mensile specializzato Musica Jazz. Il trio, utilizza tutte le
sfumature interpretative, i diversi colori e timbri degli strumenti. La cantante veneziana
interpreta in questo contesto sia standard che composizioni originali, usando anche la lingua
italiana. Particolarmente convincente, a tal proposito, è la dolce e nostalgica bossanova Il
sogno di Rosa, canzone che apre l’album, ma la vocalist veneziana sembra eccellere un po’ in
tutti i brani lenti e d’atmosfera, da ballad originali come Hear me, che dà il titolo al disco, o I
wish my heart could fly to you, alle riuscite rielaborazioni di Almost blue, fra le più celebri
canzoni scritte da Elvis Costello, o di O grande amor, del geniale Tom Jobim. Altrettanto riuscite
appaiono le interpretazioni di pezzi più convenzionali del repertorio jazzistico come Whisper not
di Benny Golson e Get out of town di Cole Porter. Ci troviamo di fronte, in definitiva, ad un disco
delizioso, profondo ed intimista, capace di riservare ad ogni successivo ascolto nuove e
piacevoli sorprese. Un album che dimostra come, per colpire l’ascoltatore, non sia sempre
necessario “alzare la voceâ€.