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Cristiano Arcelli (alto sax), Fulvio Sigurtà (trumpet, flugelhorn),
Giovanni Hoffer (French horn), Massimo Morganti (trombone), Glauco Benedetti (tuba).
1) I Mean You; 2) Bemsha Swing; 3) Reflections; 4) Epistrophy;
5) Worry Later; 6) ‘Round Midnight; 7) In Walked Bud; 8) Rhythm–A–Ning.
Recorded at Ritmo&Blue Studio, Pozzolengo (Brescia), on 13th and 14th November 2024;
mixed and mastered at Studio della Giraffa, Cagliari, on 25th January 2025.
Sound engineer: Marti Jane Robertson
Il Koro Almost Brass è un gruppo atipico, specie nel mondo del jazz, dove sono molto più frequenti i quartetti di sassofoni. È in qualche modo assimilabile al quintetto di ottoni della musica classica, da cui si distingue per aver sostituito la seconda tromba con un sax alto. Poter costruire un ponte fra jazz, musica improvvisata per eccellenza, e musica colta, interamente scritta, è uno dei principali obiettivi del Koro. Il trombettista Fulvio Sigurtà, l’altosassofonista Cristiano Arcelli, autore anche degli arrangiamenti, e il trombonista Massimo Morganti sono jazzisti che non hanno certo bisogno di presentazioni, fra i maggiori virtuosi dei loro strumenti anche in ambito europeo, mentre il più giovane Glauco Benedetti è fra i rari solisti italiani di basso tuba. Arricchisce la già vasta gamma sonora dell’ensemble, rafforzando il legame fra musica classica e afroamericana, il corno francese. Lo suona Giovanni Hoffer, musicista classico di livello internazionale ma anche il maggiore specialista del corno jazz in Europa. In questo loro primo album, «Plays Monk», viene presa in esame, scandagliata ed interpretata in modo assolutamente originale la musica di Thelonious Monk, dove – come scrive Stefano Zenni nelle note di copertina – “… ogni singolo brano è costituito da tanti frammenti separati, che a volte risuonano distanti e altre volte sono in qualche modo concatenati. Questo gruppo – e in particolare l’arrangiatore Cristiano Arcelli – ha compreso che le costellazioni di Monk sono mobili: i frammenti possono essere staccati e ricomposti, spostati e diversamente collegati, senza che l’identità delle composizioni ne esca compromessa”. Anzi, questa operazione di smontaggio e rimontaggio – resa agevole dalla natura stessa del quintetto, grazie ai suoi ruoli intercambiabili – rivela nuove prospettive, illumina angoli inediti, collega dettagli affini. La musica di Monk ne esce così ricomposta e rinnovata, ma al tempo stesso confermata nella sua natura più profonda. Tra silenzi, acrobazie, scomposizioni e nuovi assemblaggi, Monk si rivela nuovamente alle nostre orecchie stupefatte. Ringraziamo il Koro Almost Brass per averci regalato queste otto gemme preziose, e Marti Jane Robertson per averle rese ancor più luminose ed accattivanti.