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Gaspare Pasini (sax alto e soprano), Luigi Bonafede (pianoforte),
Romano Todesco o Piero Leveratto (contrabbasso), Paolo Pellegatti (batteria).
C’è chi il primo disco lo fa quando ha da poco imparato ad improvvisare, chi invece dopo quasi
trent’anni di esemplare attività artistica. E’ questo il caso del sassofonista Gaspare Pasini, che
ha tenuto in cassetto questo nastro, proveniente da due distinte sedute di registrazione, quasi
vent’anni prima di decidersi a farlo pubblicare da Caligola. Jazzista istintivo e viscerale, di
formazione neo-boppistica, Pasini – noto per la militanza nell’Eurospace Station di Ray Mantilla
e nella Zerorchestra, ensemble specializzatosi nel commentare dal vivo i film muti, ma anche
per le collaborazioni con Roberto Gatto e Flavio Boltro – frequenta ancor oggi Luigi Bonafede,
nel cui pianismo fortemente ritmico e dinamico trova un sostegno ideale alle sue fantasiose
invenzioni melodiche. E’ infatti proprio il pianista piemontese l’altro grande protagonista di
queste incisioni, che non dimostrano affatto i loro vent’anni. Anzi, jazz così fresco e
coinvolgente non è facile oggi trovarne. Delle otto tracce del disco, quattro provengono da una
seduta in studio del dicembre 1988, e sono tutte composizioni originali del leader. Qui
Bonafede ed il batterista milanese Paolo Pellegatti – entrambi, in quel periodo, nomi di punta
del giovane jazz italiano – sono affiancati dal friulano Romano Todesco, contrabbasso. Nei
rimanenti quattro brani invece, tutti standard più o meno noti, registrati nello stesso studio sei
mesi dopo, i due jazzisti sono magnificamente supportati dal contrabbassista ligure Piero
Leveratto. Un trio davvero ben assortito ed affiatato il loro, che accompagnava nello stesso
periodo l’indimenticato Massimo Urbani, al cui spontaneo approccio strumentale in qualche
modo Pasini ancor oggi s’ispira. Più personale al contralto che non al soprano, il sassofonista
di Pordenone, classe 1958, domina con perizia le delicate e soffuse armonie di Autumn in New
York e Round about midnight, quest’ultima affrontata senza batteria, che è tutto fuorché
un’esecuzione di routine. Ma sono particolarmente riuscite, fra i brani originali, anche le
esecuzioni di Track e dell’iniziale Philing, tema melanconico e swingante allo stesso tempo, che
non a caso dà il titolo all’album. Composizione, come il titolo lascia chiaramente intendere,
dedicata dal leader all’amico e maestro Phil Woods, forse suo principale ispiratore. Amicizia
ma anche ammirazione, come testimoniano le brevi ma sincere note di copertina che Woods
aveva scritto per l’allora trentenne Pasini. Parole che debbono averlo di certo incoraggiato nel
proseguire un percorso artistico lungo e non sempre facile, che ci auguriamo possa finalmente
trovare i meritati riconoscimenti.