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Francesco Branciamore (batteria)
Jean Luc Cappozzo (tromba, flicorno), Michel Godard (tuba, serpentone),
Siamo lieti, a sette anni da «Improvisation of the four seasons» (Caligola 2033), di poter
ospitare un altro bel lavoro internazionale del batterista siciliano Francesco Branciamore, che
in questi anni ha riscosso notevoli consensi con il suo “Perfect Quartet”. L’amore per gli ottoni
ritrova conferma anche in questo riuscito «Trium», che lo vede alla testa di un trio omogeneo
ed affiatato, completato dai jazzisti francesi Michel Godard, tuba, e Jean Luc Cappozzo,
tromba. Anche nel gruppo “Trade d’union”, protagonista del precedente album, era presente
l’agile tuba di Godard, ma lì c’erano il nostro Guido Mazzon alla tromba ed il compianto Paul
Rutherford al trombone. Nella nuova incisione invece, ad affiancare il virtuoso specialista
francese del basso tuba, c’è solo il connazionale Jean Luc Cappozzo, trombettista fra i più
quotati dell’odierna avanguardia europea. Nella registrazione, effettuata in Francia, quasi un
“live” in studio, il trio sviluppa agile e compatto 17 distinti episodi, che non son altro che le parti
di tre diverse e lunghe suites. Queste le note di copertina scritte per noi da Enzo Boddi, che
ringraziamo sentitamente.
“…«Trium» offre un percorso scorrevole verso il pieno apprezzamento di una forma
di improvvisazione rigorosa, ma al tempo stesso efficacemente regolata da un’impeccabile
disciplina e da un elevato senso della forma. Tale equilibrio annulla le tradizionali distinzioni
con la composizione, per la quale semmai in molti passaggi di questa incisione si potrebbe
applicare a buon diritto l’aggettivo “istantanea”. Branciamore, Godard e Cappozzo operano nel
rispetto di un’estetica europea che tiene nella dovuta considerazione varie componenti. Da una
parte, si avverte il peso latente del Novecento di Maderna, Berio, Boulez e Xenakis,
segnatamente nel minuzioso lavoro sulle sfumature timbriche, nella predilezione per cellule
accuratamente distillate e nel paziente lavoro di accumulo cui sono sottoposte. Dall’altra, si
percepiscono echi della musica improvvisata degli anni Settanta, qui debitamente stemperati
da un approccio molto più riflessivo e “consapevole”, distante da esigenze di rottura. Tra le
righe si leggono inoltre le impronte di un’eredità afroamericana adeguatamente filtrata
attraverso il bagaglio europeo: il lascito dell’AACM, le sperimentazioni condotte da Braxton e
Leo Smith, non a caso con l’Europa come fonte di ispirazione. E’ dunque da questo equilibrio
euro–afro–americano e da un ascolto reciproco fuori dal comune che il trio trae linfa vitale per
uno scambio continuo, ricco di climi sospesi, pause significative e rispetto del silenzio,
interlocutore prezioso…”.