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Ettore Martin (sax tenore) e “Les Quartettes String Quartet”
con Maria Vicentini e Lorella Baldin (violino), Grazia Colombini (viola), Paola Zannoni
(violoncello).
Nel suo precedente album con il quartetto d’archi “Les Quartettes” («Senza parole», Abeat
2005), che è anche l’ultimo da leader prima di «Corpo acustico», Ettore Martin aveva scelto di
rileggere dieci fra i più celebri brani della musica leggera italiana. Oggi il sassofonista vicentino,
classe 1961, compie un deciso passo in avanti, decidendo di proporre quasi solo arrangiamenti
di proprie composizioni (ben nove delle dodici contenute nel disco). Nella precedente incisione
poi, Martin guidava un proprio gruppo con piano, contrabbasso e batteria. Se ìn quel caso
eravamo quindi di fronte all’incontro fra due quartetti, in questo il suo sax tenore é una voce
solista aggiunta a quella dei quattro archi, scelta che sembra spingere il progetto più sul
versante della musica classica, se non fosse per il grande spazio lasciato all’improvvisazione e
per il sottile swing presente in ciascuna delle dodici tracce, caratteristiche queste proprie del
jazz.
Se fino a tutti gli anni ’90 s’era messo in luce soprattutto come solista dei gruppi del pianista
Roberto Magris e del Sax Appeal Saxophone Quartet di Maurizio Camardi, a partire dal disco
«Natural code» (Abeat, 2001) Ettore Martin è sempre più riuscito ad imporsi come leader
autorevole ed originale. Ci sono quindi buone ragioni per credere che questo nuovo lavoro
possa rappresentare per lui la definitiva e meritata consacrazione. Un pregnante lirismo, mai
melenso e banale, una sonorità viscerale e rotonda, ormai perfettamente riconoscibile, e un
originale, incisivo fraseggio, trovano nel dialogo con il quartetto d’archi lo stimolo ideale per
emergere.
Primo bacio, Milonga triste e Jan (tributo a Jan Garbarek, forse il sassofonista che più di ogni
altro lo ha influenzato) sembrano velate da un melanconico romanticismo, mentre
sorprendentemente contemporanee e asciutte appaiono invece Equidistanze, di sapore
vagamente impressionistico, Airsong, la concitata Big bang e l’ipnotica La cucina, quest’ultima
composta da Vladimir Nikolov. Se in questi brani è ammirevole l’interplay raggiunto fra il
sassofono e gli strumenti ad arco, viene invece lasciato spazio soltanto all’ottimo quartetto
d’archi in Concordu, scritto dal contrabbassista Salvatore Majore, in una medley formata da
due composizioni del leader, Triadi e Seasong, così come in una bella versione dell’hendrixiana
Foxy lady (dove il pensiero corre, inevitabilmente, ai maestri del Kronos Quartet), preceduta
peraltro da un breve ma efficace prologo del solo sax tenore, There, sorta di bozzetto
impressionista, frutto anche questo della penna di Martin.