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A lungo elaborato, pazientemente atteso, finalmente registrato, esce il nuovo solo del pianista
friulano Claudio Cojaniz, due anni dopo l’autoprodotto «Never forever» ed a ben sette da «Blue
Demon», album Splasch interamente dedicato a Thelonious Monk che, come si sa, continua ad
essere il faro guida della sua ricerca poetica. Il concitato furore espressivo di molti precedenti
lavori lascia qui spazio, com’era già successo in parte con «Never forever», ad una visione
musicale più pacata e meditativa, quasi che la raggiunta maturità rendesse necessaria una
pausa di riflessione sul cammino sin qui percorso. Siamo contenti di aver colto e di poter quindi
proporre agli appassionati quest’importante fase dell’evoluzione artistica di Cojaniz, dopo
averlo già ospitato nel nostro catalogo per un suggestivo omaggio ad Ornette Coleman, «War
orphans» (2004), realizzato con il trombonista Giancarlo Schiaffini. Colgono nel segno le note
di copertina di Stefano Merighi, che osserva come già il brano d’apertura, Perfect day di Lou
Reed, indichi “… uno stato d’animo, un punto di vista riflessivo sul momento musicale di
Claudio Cojaniz. Un artista da sempre ‘fuori linea’, che vive una parabola creativa di lucida
consapevolezza, talvolta anche spiazzante per chi ricorda accenti più crudi, una materia
sonora più ribollente….”. Cojaniz può oggi permettersi di scremare, ripulire, anziché
sovraccaricare il proprio linguaggio espressivo. Risulta esemplare a tal proposito l’intensa
versione dell’ellingtoniana African flowers, evocatica ma non indulgente, rispettosa ma non
calligrafica. Ed anche il prediletto Monk non è più soltanto un modello di stile, ma un riferimento
con cui dialogare alla pari. Del leggendario pianista neroamericano vengono qui proposti ben
cinque brani: Round about midnight, Ask me now, Worry later, Jackie–ing ed Evidence. Ma
Claudio Cojaniz osa di più, andando a riscoprire una delle canzoni predilette da Monk, Just a
Gigolo, di cui offre un’interpretazione sublime. Ancora intriso di un assorto e quasi ipnotico
lirismo è l’accattivante incedere di The wedding, tratto dal repertorio di Abdullah Ibrahim, quasi
un omaggio all’Africa. Inaspettata e divertente é infine la ripresa di un breve tema che
appartiene alla nostra infanzia televisiva (Intermission riff, di Stan Kenton, sigla di TV.7), scelto
come titolo del disco. Con piacere torniamo a citare Merighi che scrive: “All’interno di questa
retrospettiva sentimentale, che non sfiora neanche per un attimo il sentimentalismo, Cojaniz
piazza poi un acuto razionalista che chiude il cerchio. Una trascrittura pianistica di una
composizione di Anthony Braxton degli anni ’70…” (Da «New York Fall 1974»). Esecuzione
breve, ma per noi quanto basta incisiva e illuminante.