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Dimitri Grechi Espinoza (alto sax), Roberto Cecchetto (electric guitar),
Stefano Onorati (piano), Alessandro Fabbri (drums).
1) My Romance (R. Rodgers); 2) All the Things You Are (J. Kern);
3) Solitude (D. Ellington); 4) Here’s That Rainy Day (J. Van Heusen);
5) Body and Soul (J. Green); 6) Days of Wine and Roses (H. Mancini);
7) In Your Solitude (D. Grechi Espinoza).
Recorded on 23rd June 2004 at Teatro dei Differenti, Barga (Lucca),
by Francesco Ciarfuglia and Cristiano Toroioli; analog mastering in May 2021
at Digitalsound Studio, Vedelago (Treviso), by Walter Bertolo.
La prima mail che l’amico Dimitri Grechi Espinoza ha scritto per proporci l’ascolto di
questa registrazione risale al novembre del 2012. Quello strano improvvisato
quartett senza contrabbasso ci era subito piaciuto moltissimo; abbiamo ascoltato quel
disco masterizzato un sacco di volte, ma poi l’abbiamo colpevolmente messo da parte.
Ci è poi ricapitato tra le mani, quasi per caso, durante il recente lockdown e, rimesso
nel piatto del Cd, ci è sembrato forse ancor più bello di allora, sempre fresco ed
avvincente come la prima volta. Cinque standard rivisitati in quartetto, uno dal solo
sassofono, ed una lunga improvvisazione solitaria ancora di Dimitri. In quel teatro
vuoto, senza pubblico, era scattata una magia che sarebbe stato impossibile
prevedere soltanto poco prima. Merito della creatività di quattro jazzisti che, pur con
diversi percorsi artistici alle spalle, erano amici e componenti quell’anno della Barga
Jazz Orchestra diretta da Bruno Tommaso. Il già citato Grechi Espinoza, sax alto,
Stefano Onorati, pianoforte, Roberto Cecchetto, chitarra, e Alessandro Fabbri, batteria,
avevano provato quello stesso giorno sotto la ferrea direzione di Tommaso con la big
band. Sottolinea l’indimenticato Giancarlo Rizzardi, anima e cuore del Barga Jazz
Festival (unico concorso italiano dedicato agli arrangiamenti orchestrali), nelle belle
note di copertina scritte poco prima di lasciarci: “viene da pensare che questo lavoro
sia anche in parte il frutto della reazione alla ferrea disciplina imposta dall’orchestra
durante le prove”. Di quell’improvvisata session, nata durante una delle pause della big
band, scrive ancora: “quello che colpisce in questa registrazione è l’impressione di
totale libertà in cui agiscono i quattro musicisti che, pur muovendosi fantasiosamente
e, apparentemente, senza niente di preordinato, ottengono anche un interessante
lavoro d’insieme”. Il comune terreno d’azione non poteva che esser costituito da degli
standard, eseguiti tutti con grande sensibilità e sempre lucida fantasia improvvisativa:
per questo appaiono, dopo quasi vent’anni, ancora estremamente godibili, gemme
preziose che solo l’inesauribile miniera del jazz può e sa regalarci.