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Domenico Caliri (chitarre, effetti),
Antonio Borghini (contrabbasso, effetti), Cristiano Calcagnile (batteria, percussioni)
Nato nel 1967 a Messina ma attivo da più di un decennio sulla scena dell’avanguardia
jazzistica bolognese, il chitarrista Domenico Caliri non è nuovo a progetti trasversali e
stimolanti. Dal 1993 ha fatto parte dell’associazione Bassesfere, collettivo di musicisti
impegnato nella divulgazione della musica improvvisata, e nello stesso anno ha costituito il
doppio quintetto Specchio Ensemble, che ha all’attivo due pregevoli dischi ed esibizioni in
prestigiosi teatri europei. Ma la fama di Caliri s’è notevolmente allargata quando ha iniziato una
lunga e importante collaborazione con il trombettista Enrico Rava. Il chitarrista non s’è limitato a
partecipare alla registrazione del disco «Rava–Carmen», ma è soprattutto entrato a far parte
del fortunato gruppo “Rava Electric Five”, che ha pubblicato ben quattro album per l’etichetta
francese Label Bleu. Caliri ha collaborato nell’arco di una già soddisfacente carriera con jazzisti
del calibro di Lester Bowie e Han Bennink, di Kenny Wheeler e Richard Galliano, di Butch
Morris e Aldo Romano, ma la grande fantasia, l’amore per il rischio ed il senso dell’ironia che lo
contraddistinguono hanno forse trovato nel Cal Trio la sin qui più completa e matura
manifestazione. Ottimamente sostenuto dalla splendida coppia ritmica formata dai giovani ma
già noti Antonio Borghini, contrabbasso, Cristiano Calcagnile, batteria (quest’ultimo, oltre che
accompagnare la cantante Cristina Donà ed il pianista Stefano Bollani, guida un’interessante
formazione che ha inciso nel 2004 per la nostra etichetta il riuscito «Chant Trio»), Domenico
Caliri ha fatto di questo gruppo una sorta di strumento con cui esprimere compiutamente il
proprio pensiero di compositore ed improvvisatore. Il mirabile affiatamento del trio è frutto di
una lunga frequentazione musicale, e si sente! Il Cal Trio aveva già pubblicato nel 2002 «Casa
3» (Bassesferec), e questo è quindi il suo secondo album, dove ben dieci degli undici brani
sono firmati dal leader. L’unico standard, se così si può chiamare, presente è la deliziosa Art
deco di Don Cherry, ma anche qui il trio, a tratti sospeso fra lo Scofield più sperimentale delle
jam–band ed il Frisell più sognatore ed onirico, fa sentire tutta la sua forte personalità,
plasmando il brano con il suo inconfondibile stile. La grintosa partenza di Ubi maior, permeata
di un rock cupo ed acido, apparentemente “fuori tema”, è l’ideale premessa ad un disco che
non può non stupire per la varietà delle situazioni offerte, per la libertà “controllata” con cui sa
dar voce alla brillante verve compositiva di Caliri.