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Elio Amato (trombone, flugelhorn), Gaetano Cristofaro (soprano & tenor sax, clarinet),
Giorgio Occhipinti (piano), Giuseppe Guarrella (double bass), Francesco Branciamore (drums, xilophone).
1) Going; 2) Keep up the dialogue; 3) Trium; 4) Overlapped
Nell’ormai lunga discografia del batterista siracusano Francesco
Branciamore, il Perfect Quartet (oggi Quintet) rappresenta uno stabile
ed incoraggiante punto di riferimento. Dopo il disco d’esordio, dal titolo
omonimo, pubblicato nel 2002 dalla Jazzhalò Records, la
consacrazione del gruppo è arrivata nel 2005 con «Jumping» (Splasch).
Ora, a distanza di cinque anni, il quartetto “senza pianoforte”,
d’ispirazione colemaniana, é diventato quintetto con l’inserimento del
pianista siciliano Giorgio Occhipinti, abituale collaboratore di
Branciamore. Si è di fatto ricostituito, nella sezione ritmica del Perfect
Quintet, il December Thirty Jazz Trio, gruppo che Occhipinti guida con
caparbietà dal 1989. «Keep up the dialogue» (manteniamo alto il livello
del dialogo), significa anche “riprendiamoci il piacere del parlare in
musica”, nel jazz oltremodo importante. Ma è anche un modo per dire,
metaforicamente, “apriamoci alle diversità”, nelle loro accezioni
universali. Usare lo xilofono, proprio nel brano che dà il titolo all’album,
non è stata una scelta casuale. Il suono caldo del paduk – il legno con
cui è costruito lo strumento – ci rimanda alle radici del jazz, così come
la forma di blues in minore da cui prende corpo il brano, dopo una lunga
introduzione. Guardare indietro per andare avanti: questo è il senso del
lavoro di Branciamore, evidente anche in Going e Trium. L’ultima
composizione, Overlapped, è la sintesi ed al contempo l’essenza del
tutto. Il dialogo in ciascuno dei duetti sovrapposti interiorizza la parte più
nascosta di ogni musicista coinvolto, con l’obiettivo di portare in
superficie quanta più musica possibile. Lo strumento usato da
Branciamore viene spesso ritenuto, ingiustamente, meno importante di
altri, forse perché non in grado di recitare armonicamente e
melodicamente un ruolo da protagonista. Niente di più sbagliato. La
batteria, soprattutto nel jazz, conferisce ritmo, colore ed atmosfera ad
ogni brano. Il batterista è uno stimolo per i propri partner ed è il primo
ad accorgersi se l’esecuzione sta perdendo nella fantasia, nella timbrica
o nella dinamica. In questo caso poi riesce addirittura a preoccuparsi
della costruzione del brano, suonando soltanto quello che serve per
arricchirlo, senza sovrastare i compagni, ed evitando episodi pirotecnici
di un virtuosismo fine a sé stesso che il più delle volte risulta
decisamente noioso.