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Beppe Aliprandi (sax alto e tenore, flauti), David Boato (tromba),
Michele Calgaro o Luca Meneghello (chitarra elettrica),
Roberto Piccolo (contrabbasso), Cristiano Calcagnile (batteria, percussioni)
Presenza “storica” del jazz italiano degli ultimi quarant’anni, Beppe Aliprandi è musicista che ha
fatto della discrezione ma anche della coerenza stilistica e della sincerità artistica il proprio
inconfondibile tratto distintivo. Partito poco più che ventenne come hard-bopper, non ha
tralasciato di esplorare il jazz tradizionale, suonando nella quotata Bovisa N.O. Jazz Band, ed
ha poi sposato la causa del free–jazz, ma badando più alla sostanza che alla maniera. Molto
attivo negli anni ’70 al Capolinea, storico locale milanese, e quindi nell’Open Jazz Group di
Claudio Fasoli, il plurisassofonista milanese ha dato vita al “Jazz Academy” alla fine degli anni
’80. All’interno di queste formazioni, sempre diverse, hanno suonato sia esponenti del jazz
europeo come Karl Berger ed Aldo Romano, che di quello italiano, come Tiziano Tononi e
Stefano Battaglia, Gabriele Mirabassi e Piero Leveratto, solo per fare qualche nome. Non è
prolifica la discografia di Aliprandi. Cinque dischi da leader in una dozzina d’anni la dicono
lunga su quanto per lui il Cd sia il frutto di un minuzioso lavoro ma anche di un completo
percorso creativo. Da «Jazz Academy Trio» , disco Splasc(h) del 1993, a questo «Blue totem»,
che segue «Duke, I love you madly», del 1999, Beppe Aliprandi non ha mai tradito la propria
visione musicale, fortemente influenzata dalla cultura africana. Ed all’Africa, così come alle sue
maschere ed ai suoi totem, s’ispira anche il suo lavoro nelle arti figurative (Aliprandi è un pittore
di talento, ed ha sempre coltivato questa passione accanto a quella per la musica). I brani
raccolti in «Blue totem» proseguono un discorso iniziato un decennio or sono e che aveva visto
una prima realizzazione nel 1998 con «Maya’s dream». In questo suo nuovo disco vi sono sì
echi del panafricanismo di Don Cherry e Phraoah Sanders, ma c’è anche qualcosa della
musica araba, del calipso (Afro–ditis) così come una sapiente rilettura della tradizione hard
-boppistica (Marmara e Kusadasi utilizzano la linea melodica di All the things you are, Instead
of…rifà il verso al Miles Davis di Teo e Killer Joe’s travel to Middle East riprende Benny
Golson). Il plurisassofonista guida qui un quintetto al cui interno hanno grande spazio due
confortanti realtà del nuovo jazz italiano come il batterista Cristiano Calcagnile ed il trombettista
David Boato. Alla chitarra si alternano Luca Meneghello e Michele Calgaro, mentre al basso c’è
Roberto Piccolo, da anni suo fidato compagno di viaggi.